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Lo Stato stanzia 65 milioni in meno dello scorso anno: i 10 milioni disponibili basterebbero solo per Termini Imerese e Gela

La beffa arriva a pochi giorni dall'esultanza. Ed è una beffa che si traduce in cifre, in assegni che non arriveranno. Sono meno di 10 milioni i fondi che il governo Renzi mette a disposizione della Sicilia per gli ammortizzatori sociali in deroga, un'inezia in confronto alla dotazione 2015 (75 milioni) e alle aspettative dei sindacati, che stimavano in 10 milioni il fabbisogno necessario solo per due voci, Termini Imerese e Gela.

Naturale che adesso proprio i sindacati siano sulle barricate: "Una riduzione dei fondi di questa portata - commenta la segretaria confederale della Cgil Monica Genovese - è inaccettabile. Il governo regionale dovrebbe intervenire, ma bisognerà capire con quali soldi potrà farlo". Lunedì l'assessore regionale al Lavoro Gianluca Micciché e i sindacati avevano firmato un'intesa per accordare alle aree industriali colpite dalla chiusura della Sicilfiat e della crisi del Petrolchimico il 5 per cento dei fondi per gli ammortizzatori sociali, a questo punto poco più di 490 mila euro. Che dovranno bastare per 750 lavoratori: circa 660 euro a testa per coprire tutto un anno. Spiccioli.

A pagare, però, non saranno solo gli operai delle aree industriali. Gli ammortizzatori sociali in deroga vengono utilizzati per affrontare un grande numero di crisi aziendali, soprattutto nel settore del commercio e dei servizi e per le aziende con meno di 15 dipendenti. "In Sicilia - prosegue Genovese - bisogna ancora coprire gli ammortizzatori sociali del 2014. Solo per quella partita servono 200 milioni di euro".

All'orizzonte si intravedono altre crisi: se la procedura di mobilità aperta per i 1.670 dipendenti Almaviva di Palermo dovesse sfociare in un licenziamento, proprio agli ammortizzatori sociali in deroga bisognerebbe attingere per garantire un reddito ai lavoratori, transitati dal settore industria ai servizi. Proprio per reclamare l'attenzione della politica sulla vertenza, una delegazione del call center si è presentata ieri a "Cambiamenti", la Leopolda siciliana in corso all'ex Fabbrica Sandron di Palermo. Un rappresentante degli operatori è stato invitato sul palco dal sottosegretario all'Istruzione Davide Faraone: "Chiediamo di individuare soluzioni concrete", ha detto. Nel pomeriggio uno dei tavoli tematici è stato dedicato proprio alla vertenza Almaviva.

Più alle battute finali è invece la vertenza Edistampa-Giornale di
 Sicilia-Tgs. "Lunedì (domani per chi legge, ndr ) - spiega il segretario della Fistel Cisl di Palermo e Trapani, Francesco Assisi - partiranno le lettere di licenziamento per i 15 dipendenti della tipografia. Al giornale sono stati annunciati 20 esuberi fra fattorini e poligrafici. A Tgs 8 operatori sono in contratto di solidarietà. Temiamo che si ripeta lo stesso film già visto a Edistampa, con i contratti di solidarietà come antipasto del licenziamento".
palermo.repubblica.it

Macaluso-De Mita e la Fiat: le intemerate dei due ex dc e pci

Macaluso e De Mita


In tutta onestà non si può dire che ci andassero leggeri nemmeno allora, quando la prima Repubblica ancora non era crollata. Basta rileggere una vecchia intervista che l’ex delfino di Bettino Craxi, l’ex Guardasigilli socialista Claudio Martelli rilasciò a Panorama a dicembre del 1987. «Oggi la Fiat in Italia è una monarchia nella Repubblica. Nessun gruppo industriale in nessuna grande democrazia ha lo stesso potere che la Fiat ha da noi. Il problema è strutturale. Un gruppo economico che acquisisce un tale livello di potenza e di influenza diventa un caso politico».

E si parla della Fiat degli Agnelli, non di quella del «canadese» Sergio Marchionne che guarda l’Italia sempre più da lontano. La Fiat che ancora si muoveva in quel solco tracciato da Vittorio Valletta: «Ciò che è bene per la Fiat è bene per l’Italia». La Fiat che con la politica non solo ci dialogava, ma che ne era parte integrante, come stanno a dimostrare anche le «navicelle» del Parlamento, dove compaiono i tre fratelli Susanna, Umberto e Giovanni Agnelli: la prima parlamentare repubblicana e ministro degli Esteri, il secondo deputato democristiano, il terzo senatore a vita. La Fiat, che un altro socialista, il ministro del Lavoro Rino Formica, definì un giorno (e certamente non per una svista) «controparte padronale», ma sotto sotto era coccolata e corteggiata da tutta la politica. Era o non era la più grande industria italiana? E se Cesare Romiti ha rivendicato con Giampaolo Pansa, che lo intervistava per il libro «Questi anni alla Fiat», di aver imposto durante la sua gestione una «linea di rottura con i poteri pubblici», la casa torinese continuava a essere la principale destinataria di ricchi contributi statali. Come gli oltre 3 mila miliardi di lire per lo stabilimento di Melfi.

Il peggio che potesse capitare in quegli anni erano le scaramucce. Come quello scambio di battute fra Romiti e il ministro del Bilancio Paolo Cirino Pomicino, che gli aveva vibrato una stilettata: «È un po’ nervoso, perché la Fiat va male». E lui, ai giornalisti, ridacchiando: «Vi sembro nervoso» ? O come quell’altro commento di Martelli, in piena bufera di Tangentopoli: «La Fiat non può dire di essere stata vessata dai partiti, è una tesi difficilmente sostenibile». Ma nessuno della cosiddetta prima Repubblica, nemmeno nei momenti più tesi, si sarebbe sognato di minacciare, come ha fatto sabato l’ex presidente del Consiglio Ciriaco De Mita parlando con Antonella Baccaro del Corriere, l’occupazione di una fabbrica. Causa della clamorosa intemerata dell’ottantatreenne ex segretario dc, la decisione della Fiat di chiudere lo stabilimento avellinese della Irisbus, messo in ginocchio dalla mancanza di commesse pubbliche per il trasporto pubblico locale. «I soldi per le quote latte il governo li ha trovati, eccome...», ha ringhiato l’irriducibile Signore di Nusco. Per non parlare del trattamento al vetriolo che ha riservato a Marchionne un altro monumento della politica nostrana.

Ha scritto l’ex parlamentare del Pci Emanuele Macaluso sul Riformista, a proposito della tragica vicenda dell’operaio suicida Agostino Bova, licenziato da Termini Imerese per un «furto» di 55 euro: «In altri momenti Bova sarebbe stato punito con un richiamo, una breve sospensione, non certo con il licenziamento. Ma i sindacati sono deboli, la politica è debole, la cosiddetta società civile è distratta e c’è l’uomo forte Marchionne, che licenzia il povero Bova ma, come abbiamo visto, può ricattare l’Italia». E il governatore siciliano Raffaele Lombardo, che durante la prima Repubblica si è fatto le ossa nella Dc di Calogero Mannino, non ha avuto paura di spingersi rabbiosamente addirittura oltre. Sentite che cosa ha detto, secondo quanto ha riportato l’Ansa: «Quando ci si comporta da farabutti, i lavoratori vengono portati all’esasperazione e si arriva alla disperazione com’è accaduto per l’ex operaio della Fiat che ha ammazzato la moglie e poi si è suicidato». Poi ha proposto di scendere in piazza, occupare i consigli comunali e provinciali e «mettere le tende a Roma». Se la Fiat era una «monarchia nella Repubblica», allora qui siamo alla presa della Bastiglia.

Sergio Rizzo
01 agosto 2011
corriere.it

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